Collaborazioni e interviste

A rifare il mondo – Intervista a Ilaria Rigoli

A rifare il mondo è la prima raccolta di poesie di Ilaria Rigoli, illustrata da Ilaria Faccioli, edita da Bompiani e finalista al Premio Campiello junior per la categoria 11/14 anni, e al Premio Andersen come miglior libro 6/9 anni. 

Le sessanta poesie contenute nella raccolta, in effetti, possono essere lette e apprezzate da lettori e lettrici di ogni fascia d’età: scritte con parole semplici e accurate, trattano temi universali, indagati e restituiti con meticolosa attenzione. 

Quasi tutte – a parte la prima, programmatica, eponima della raccolta – hanno come titolo una parola sola, attorno alla quale ruota l’intero componimento: freddolunapoesiamare… È come se lo sguardo della scrittrice – e quindi del lettore, della lettrice – si concentrasse su una sola cosa alla volta, anche piccola, insignificante, per osservarla davvero nella sua profondità, e illuminarla. 

Sono poesie nate lentamente e diventate poi un libro grazie all’intervento di Beatrice Masini, direttrice di divisione in Bompiani, con la quale l’autrice ha seguito un corso sulla letteratura per l’infanzia. Si snodano lungo un tempo che è il tempo delle stagioni, dall’autunno all’estate, e sanno trovare una nota di luce anche nelle giornate di pioggia, un rimedio alla paura, una medicina per la tristezza. Vedono dappertutto qualcosa di buono, qualcosa da cui partire per rifare il mondo.

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Ilaria, A rifare il mondo è una raccolta di versi felici: felici nel senso di ben riusciti e felici nel senso di giocosi. Ma come si fa a rifare il mondo? Da dove si comincia? Tu come provi a rifare il mondo?

Sono convinta che per rifare il mondo siano necessarie le parole, anche se da sole non bastano, perché altrettanto necessarie sono le azioni. Tuttavia io penso che le azioni brave, cioè buone, belle, coraggiose, ossia quelle che secondo me servono per rifare il mondo oggi, siano sempre precedute da pensieri bravi. E poiché come dice Roland Barthes senza linguaggio non c’è pensiero, per fare pensieri bravi servono parole brave. Serve dirle soprattutto dentro di noi, oltre che fuori, perché esse diano significato alle cose e quindi anche alle azioni, le cose che si fanno. Io penso che l’emergenza dell’oggi sia fondamentalmente quella di imparare a guardare e trattare le cose del mondo in modo empatico, vedendo cioè la vita nelle cose, negli esseri viventi umani e non umani, e anche nel complesso del non vivente, che pur essendo magari roccia o terra è comunque parte di un pianeta che vive. Credo che solamente vedendo questa vita e trattandola come tale, cioè degna di essere, potremo imparare il rispetto per le vite altre dalla nostra e quindi potremo cominciare ad agire non da signori e padroni della Terra ma da membri del suo popolo, abitanti di questa casa insieme ad altri – a molti altri. Io non so bene come si fa a rifare il mondo se non dando a tutte le cose, e in particolare a quelle piccole, un significato, guardandole sotto una luce che le riempie di significato anche se sono apparentemente insignificanti. Credo che le bambine e i bambini siano molto esperti in questo e che abbiano questo occhio che io chiamo poetico, pur non essendo tutti necessariamente poeti. E allora come faccio io a rifare il mondo? Innanzitutto scegliendo le parole, le parole semplici, e le cose piccole, e cercando di trattarle con rispetto, gentilmente, se così si può dire, con cura. La poesia è una forma di cura, secondo me. 

Nelle tue poesie usi parole semplici ma accurate, facili da sentire, da capire. Pensi a un lettore ideale quando scrivi (e se sì, qual è)? Oppure assecondi semplicemente un tuo modo di essere?

Certamente per me è importante sapere a chi scrivo, anzi è stato molto importante capire, nel mio scrivere “pubblico”, che mi rivolgo ai bambini e alle bambine o comunque ai più giovani. Ho scritto poesie per tanto tempo senza pensare (e nemmeno desiderare) che potessero essere lette da altri che da me. Quando ho iniziato a interessarmi al mestiere della scrittura, è stato determinante per chiarire la mia voce poetica capire che mi rivolgevo e mi rivolgo principalmente ai ragazzi. A dire il vero non saprei spiegare bene perché, forse è che mi interessa soprattutto parlare con loro, ma è anche come se scegliendo i più giovani come interlocutori io riesca ad andare a fondo delle cose, a dire le cose che mi sembrano più importanti da dire e di cui aver cura, lasciando perdere quelle superflue. Mi sembra anche che tante delle cose che stanno a cuore ai più piccoli siano di frequente le cose che dovrebbero stare a cuore a tutti. Quindi probabilmente sì, è un mio modo di essere come autrice.

Quali poeti e poetesse, scrittori e scrittrici ritieni siano stati importanti per la tua formazione?

Sono moltissimi! Della mia infanzia cito Bianca Pitzorno e Roberto Piumini che sono due autori che ho letto moltissimo fin da piccola. Poi c’era sempre, come una specie di sfondo imprescindibile, la scrittura di Gianni Rodari, ma più appunto come una specie di lingua familiare, di patrimonio quasi implicito. 

Poi, nella mia adolescenza e oltre, sono stati importantissimi alcuni poeti del Novecento come Federico Garcia Lorca, Pablo Neruda, Anna Achmatova, Nazim Hikmet, ma ne dico solo alcuni così a sentimento… perché poi ci sono stati anche gli italiani come Giorgio Caproni, Alda Merini, Dino Campana, Eugenio Montale… In realtà io sono stata molto fortunata a quell’età perché ho potuto leggere tanta poesia in modo indisciplinato, senza alcun criterio se non quello di pescare un po’ a caso, a seconda del periodo che stavo vivendo, tra gli scaffali di poesia di amici e conoscenti, e anche attraverso la pratica del teatro di ricerca a cui mi sono dedicata molto tra i diciassette e i venticinque anni, dove noi usavamo moltissimo la poesia anche come materia “spicciola”, vorrei dire, di lavoro per esercitare la voce ed esplorare la tecnica vocale. Quindi mi capitava di lavorare con la voce usando testi, che so, di Eliot, di Dante, di Saffo e magari un frammento del Corano nella stessa sera. E nel recitarli mi incuriosivo, andavo a cercarli, ma molto disordinatamente… È stato tutto molto “scriteriato” e quindi estremamente libero. 

Ci dici un libro – o anche due o tre – di cui sei innamorata e perché?

Devo partire per forza da Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno. L’ho letto così tante volte che non riuscirei nemmeno a pensare la mia infanzia senza questo libro. Però spiegare perché non è mica facile. È bellissimo, e basta. 

Poi devo parlare anche di Il carro a sei ruote di Roberto Piumini, un libro che amo perché condensa in sé tutta una serie di mie passioni: il romanzo storico e la storia in generale, la poesia, il teatro, e la lingua di Piumini che mi accompagna da quando ero molto piccola.

Nel panorama “adulto” citerò Amatissima di Toni Morrison e Mare di papaveri di Amitav Ghosh. Il primo è un libro che mi ha toccato profondissimamente, mi ha emozionato fin quasi direi a star male. Il secondo perché mi ha fatto scoprire questo autore che poi è diventato uno dei miei preferiti, la sua lingua stupenda e la sua maestria di narratore. E tra gli autori italiani, Natalia Ginzburg, ma di lei qualunque cosa, perché sono innamorata del suo narrare, e non saprei scegliere un libro in particolare. 

Infine, la domanda di rito su questo blog: la non-domanda. Rispondi a una domanda che non ti ho fatto ma che ti sarebbe piaciuto ricevere.

La domanda che mi sarebbe piaciuto ricevere è: qual è la cosa che più di tutte ti piace fare? E la mia risposta è: leggere. Allo sfinimento. E se posso scegliere un ambito letterario, scelgo i romanzi per ragazzi e ragazze. 

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