Bussola

Radici

Alexandra Costea via Unsplash

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Diversi mesi fa ho conosciuto Pamela. Una sera ci siamo sentite su Meet e mi ha raccontato il suo progetto, fuoripunto., invitandomi a scrivere per il numero dedicato al tema delle radici. Di lei mi ha colpito il desiderio sincero di farsi portavoce della bellezza e della gentilezza e l’intenzione di lavorare su tempi lunghi, senza lasciarsi travolgere dal vortice frenetico della produzione di contenuti a ogni costo. In un mondo senza tempo, lei ha scelto di rivendicare il suo. Quando le ho detto di sì, ho pensato proprio questo: ho tempo. Avevo tempo di riflettere su quel tema per me caro, perché per anni mi sono chiesta quali fossero le mie radici, in quale terra affondassero, se appartenessero a un luogo specifico – mi sembrava di no – o piuttosto a qualcuno, a qualcosa, a un sentimento inevitabilmente lontano eppure mai sbiadito, né dal tempo né dalle distanze fisiche che intanto avevo percorso.

C’è una poesia di Ilaria Rigoli, nel suo A rifare il mondo, che finisce così: il bosco ha radici / ma gli piace viaggiare. Quando li ho letti, ho avvertito come uno sdoppiamento in questi versi, da una parte il legno saldo, immobile delle radici, dall’altra il legno divenuto altro: il legno delle case, delle navi, degli oggetti che teniamo nelle nostre stanze. Anch’io viaggio nel tempo che continuamente attraverso, diventando altro da ciò che ero una volta, cambiando forma, pensiero. Ma questo viaggio mi sembra un lungo cerchio e sento che alla fine tornerò all’origine di questa larga circonferenza, e forse ritroverò proprio ciò che ero una volta.

Forzando la rete spazio-tempo sono tornata lì, prima di scrivere le due poesie per fuoripunto. Sono tornata nella casa in cui sono nata, ho visto quello che vedevo, ho fatto quello che immaginavo di fare, ma soprattutto ho trovato l’amore che ho perduto, il solo amore sincero che abbia mai conosciuto e che senza dubbio conoscerò mai. E come tutte le cose care e perdute, ritrovarlo nel ricordo è stato un dolore e insieme un conforto.

Sono questi luoghi della memoria quelli che continuiamo ad abitare, come fantasmi ingenui che con ostinazione tornano a verificare che siano ancora gli stessi i chiavistelli, gli stessi i colori delle pareti e dei corrimano, e che in quel tale cassetto della credenza ci siano ancora le riviste coi canti di Natale; aspettiamo: che da un momento all’altro la casa si ripopoli di rumori – il mestolo che batte nella pentola, l’acqua che corre nel lavabo – e di odori – il legno che brucia nella stufa – e di mani che operosamente fanno e disfano sciarpe e ricordi e un vocio continuo, di cartoni alla tv, di battute salaci, diverbi feroci – anche quelli hanno radici. Vaghiamo, sappiamo che succederà: da un momento all’altro assisteremo alla ricomposizione di ogni parte, al ricongiungimento di ogni crepa e torneremo a correre, fuori nel terrazzo, nel sole di luglio, più veloci delle nostre ombre.

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