Bussola · Con parole tue

Bruciare lentamente

C’è un tempo che solo in parte somiglia a quello che abitiamo tutti. È un tempo più piccolo, rubato di nascosto a quello delle ore e dei giorni; è un tempo più grande, che scavalca quello delle ore e dei giorni e come una supernova detona verso l’eterno, conservando memoria di stagioni preistoriche. Si muove lentamente, è una medusa che dal fondo risale danzando verso la superficie. È un lampo e, breve, illumina una porzione di verità per poi sparire.

In quel tempo noi bruciamo lentamente.

Tenendo in mano una matita. Vagando scalzi per la stanza. Tirando giù i libri dagli scaffali. Per fare, per non fare. Esplorando altre parole come carte geografiche. Puntando il dito verso un altro continente e un altro mare. Immaginando le larghe strade della frontiera; varcandole. Ci pare di sentire la puntura delle spighe sulle mani, la colla invisibile delle ragnatele, e poi più avanti, l’acqua fredda del fiume come un bracciale intorno alle caviglie, la resina odorosa delle pigne, l’aspra dolcezza degli steli gialli sulla strada. Eppure: non ci siamo mai mossi dalla nostra quieta abitudine, dal chiuso della nostra casa.

Fuori da quel tempo il tempo, ordinatamente, avanza. È marzo. È il mese dell’equinozio, della festa mobile dei fiori, è ora: di risalire le sponde, Euridice. È un giorno verde, erboso, frusciante. È la gonna che torni a mettere, leggera. E poi questo dovere di fiorire, di rispettare i ritmi naturali, questo dovere uscire, dal suolo, germogliare. Tutta la luce lunga, nell’arco del giorno. Che s’insinua tra le tende della stanza, che stanca, che attraversa, raggiunge le piastrelle là in cucina; che dura fino a sera. Questa sera che sposta di poco ogni giorno il momento dell’appuntamento. Quella stanchezza di durare. Quella speranza.

Che cos’è la poesia. Che cos’è la primavera.
Qualcuno
lo ha detto, lo sa
prima di me.

***

Seduti, le gambe allungate nel silenzio,
uno a uno ci siamo portati i nostri giorni
solitudine con solitudine, impazienza e attesa;
e adesso che le tue spalle sono vicine alle mie
che il mio calore è il tuo,
quanto so dimenticare è nell’indugio
delle dita avventurate sulla tua pelle bionda,
sui tuoi capelli scuri,
nella paura che avvicina il nostro corso di scampati
senza rumore e senza appello, come quando
il verde di marzo spinge dai rami
e si fa abbracciare dal mondo,
come quando l’aria vive nello screzio
degli alberi carichi di luce
e c’è penombra nella stanza,
e la pace del prato è nei tuoi occhi,
ci perdona, si stringe intorno a noi.

Pierluigi Cappello, Sonno estivo, da Azzurro Elementare, BUR

*

Bene, vediamo un po’ come fiorisci
come ti apri, di che colore hai i petali,
quanti pistilli hai, che trucchi usi
per spargere il tuo polline e ripeterti,
se hai fioritura languida o violenta,
che portamento prendi, dove inclini,
se nel morire infradici o insecchisci,
avanti su, io guardo, tu fiorisci.

Patrizia Cavalli, da Poesie, Einaudi

*

«Un eterno
mi ha condotta
in un sogno appannato
portava un verde una linfa
a darmi da bere. C’è un respiro
immobile, un battito così rado
da nascondere il ritmo
c’è sempre un ritorno quando cado
e scompaio. C’è un odore. Un darsi
fuori e poi giù. Io sono
l’estremo la parte più esposta
la voce sono la danza.

Dove si chiede un’ala
per uscire dal fisso del tronco
io nasco.»

Mariangela Gualtieri, Foglia Che Parla, da Senza polvere senza peso, Einaudi

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